Tra una decina di anni, gli storici potrebbero chiamare a buon ragione la pandemia da coronavirus la grande decelerazione. I corpi che sono stati propulsi senza fine nelle città in metro, sui bus, in bici, sulle autostrade, ora siedono a casa in un isolamento auto-imposto, i voli internazionali che hanno implacabilmente solcato i cieli tra i continenti sono stati progressivamente bloccati, e le navi container che hanno solcato costantemente gli oceani avanti e indietro ora restano oziosamente alla deriva di fronte ai porti, ancorate dalla loro mancanza di cargo. Le fabbriche cinesi giacciono serenamente senza i loro operai come fossero relitti di un’era industriale superata, mentre gli ambientalisti postano i dati sulla sostanziale riduzione delle emissioni globali di diossido di carbonio. La velocità capitalista che accelera senza tregua sembra, abbastanza inaspettatamente e bruscamente frantumarsi, appesantirsi e barcollare in un torpore disattento.