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La natura della sinistra è probabilmente fallimentare. Lenin, Mao e altri pensatori contemporanei come Alan Badiou e in parte Slavoj Žižek sono ad esempio convinti che il comunismo, come idea utopica irrealizzabile ma pur sempre da pensare, sia destinata nella sua natura alla sconfitta. Questo tuttavia non giustifica l’attuale tramonto delle sinistre mondiali: non si tratta soltanto di un presunto elitarismo culturale, più o meno infondato, né dell’incapacità di incantare le masse così come poteva avvenire in Europa ancora un cinquantennio fa. La questione è morfologica: di fatto le sinistre si manifestano strutturalmente simili al capitalismo in quanto basate su false promesse e fallimenti, con la differenza che il capitalismo riesce comunque a creare dei sur-plus e delle sempre nuove forme di accumulazione, dall’oro e dal denaro cartaceo alle attuali criptovalute e banche-dati digitali. Il capitalismo in altre parole gestisce il fallimento mutando continuamente pelle e inacarnando paradossalmente l’effettiva natura della rivoluzione. Alcune urgenze tuttavia sembrano far pensare a un sovvertimento radicale di queste tendenze: l’emergenza demografica e quella climatica innanzitutto. Si stanno creando gli spazi necessari, non soltanto dal punto di vista ideologico e utopistico, per nuove forme di comunitarismo in cui il soggetto non venga più compresso dalla collettività, ma divenga l’agente primo della propria esistenza e co-esistenza. Se il capitalismo si è tradotto in un apparente privilegio del singolo alimentando le sue pretese narcisistiche, è a partire dal singolo – sotto le impellenze esterne del reale – che potrà sorgere qualche istanza innovativa e una qualche speranza.